
"Hai detto che la vita nostra
non già settanta
ma settecent'anni è durata.
E noi spossati siamo,
a terra curvi,
da sì lungo cammino.
I rosei sogni
addolcivano i canti
dell'innocente adolescenza:
fummo abbagliati
da luci avventurose
radianti da fantastiche raggiere
nei racconti di Verne e Salgari.
Per la gioconda brama di sapere
divorammo i potenti:
fantasie d'oro
a varcare gli eventi
e vincere i confini del ministero.
La favola divenne
il mirabile vero:
ogni anno più di un secolo visse
per le conquiste prodigiose.
Il sapere aggredì lo spazio e il tempo.
Frantumò l'atomo
in forze paurose:
stridono i razzi
per gli spazi astrali
a svelare gli arcani dei pianeti.
Siamo presi da un morbo
di geante irruenza
per rinnovare vittoriosi
l'assalto dei Titani al cielo.
Ma sul librarsi dei mirandi voli
(avanzamento o torbo inganno?)
quale fiorì giorno felice?
Che gaudio fu donato ai cuori?
Io non vedo che facce
tese nelle mascelle
a cimenti più duri.
La tempesta sconvolge
ed ha il suo fascino eccitante.
Ma può montarsi più straziante e cupa,
che arrivi all'esterminio?
Fermarsi a un punto:
ritornare alla calma riposante,
ai dolci amori
ed al sereno contemplare:
silenzi sogni fiori
le fiabe dei bambini,
il canto della brezza fra le rame,
l'aulenza dei giardini,
lo scintillìo dei ruscelli sonori,
l'ondulare dei monti celestini
e la quiete nei cuori."
Michele Campana,
Settecent'anni una vita